Empatia: ovvero la capacità di comprendere il punto di vista altrui, immedesimandosi negli altri, escludendo sentimenti personali e giudizi morali. Un tratto della personalità fondamentale per l’interazione con il prossimo e le relazioni sociali, anche nell'infanzia.
La dottoressa Claudia De Giglio, psicologa dello sviluppo, ci spiega l’importanza dell’empatia per la socialità anche dei bambini.
Dottoressa, a cosa serve l’empatia all’interno di una relazione sociale?
La sua etimologia fa riflettere: la parola deriva dal greco empatéia, composta da en, dentro, e da pathos, sentimento, sofferenza. Essere dentro il sentimento, dunque, sentire dentro, definizioni che richiamano immediatamente l’importanza della relazione. Attiviamo l’empatia quotidianamente in modo più o meno inconsapevole e si tratta di un fenomeno psicologico essenziale per il funzionamento di ogni tipo di relazione umana, compreso il semplice dialogo. Le relazioni sociali ci pongono quotidianamente di fronte al costante esercizio dell’ascolto attivo e della capacità di accogliere, riconoscere i sentimenti, i vissuti e condividerli con l’altro. L’empatia, è quindi uno strumento sofisticato e potente che permette di aumentare la soddisfazione dei rapporti interpersonali, migliorare la qualità delle relazioni specie quelle più intime, e aumentare il livello di coesione del gruppo e del sistema familiare.
Uno studio recente pubblicato negli Stati Uniti sulla rivista scientifica Translational Psychiatry dimostra che l'empatia non è solo il risultato dell'educazione ricevuta in famiglia ma anche del nostro Dna, almeno per un 10%. Ma i bambini quando iniziano ad essere empatici?
A livello neurobiologico, la comprensione della mente e dei vissuti dell’altro è sostenuta da una particolare classe di neuroni, definiti neuroni specchio, i quali confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale ma è parte del corredo genetico della specie. I bambini dunque iniziano ad essere empatici fin dalla primissima infanzia ma solamente durante l’adolescenza gli individui sono in grado di assumere pienamente la prospettiva altrui e di utilizzare forme di aiuto appropriate alle diverse situazioni. In particolare nei primi due anni di vita, la psicologa dello sviluppo Bischof Kohler ritiene che non si possa parlare compiutamente di empatia. Se i neonati percepiscono la sofferenza dell’altro e la condividono in modo involontario, ciò accade perché, in questa fase evolutiva, i bimbi non hanno la capacità di differenziare sé e l’altro. Intorno ai 2 anni e mezzo, si sviluppa un concetto di sé riflessivo, cioè i bambini riconoscono se stessi come diversi dagli altri a livello fisico e psicologico e sono quindi capaci di oggettivare il sé. Questa abilità favorisce l’emergere di uno dei prerequisiti dell’empatia vera e propria, cioè la capacità di riconoscere le emozioni altrui.
Come s’impara l’empatia, i genitori possono stimolare i più piccoli a mettersi nei panni degli altri?
Uno dei primi fattori che è stato individuato in letteratura come importante nello sviluppo dell’empatia è la relazione che si instaura tra genitore e bambino. Coloro che in questa esperienza sono accuditi da una persona “responsiva" rispetto ai loro primi bisogni e “supportiva” nei momenti di difficoltà interiorizzano questa modalità relazionale e nei rapporti futuri, aiuteranno chi si trova in difficoltà cercando di cogliere e rispondere ai suoi bisogni.
La presenza di un fratello o una sorella è utile allo sviluppo dell’empatia?
I fratelli svolgono il ruolo più significativo nell'influenzare la socializzazione dei più piccoli in quanto sono il primo punto di riferimento con il mondo esterno. La relazione tra fratelli è un'inevitabile palestra di vita sociale, occasione di apprendimento e sperimentazione delle proprie capacità di cura, di cooperazione e di alleanza. Pertanto rappresenta un elemento facilitante nei processi di acquisizione delle abilità sociali per i bambini, tra cui la capacità empatica.
Sono più i maggiori o i minori che influenzano quest’aspetto della personalità?
Il rapporto tra fratelli ha una reciprocità molto profonda anche quando si tratta di empatia. Infatti molti studi sostengono che fratelli maggiori e minori si influenzano a vicenda. Nonostante ciò, più aumenta la differenza d’età più diventa efficace il ruolo del fratello maggiore come modello e come “insegnante”.
È possibile diventare meno empatici quando si comincia a crescere?
“Un bambino felice sarà un adulto maturo” così scriveva Giovanni Bollea, noto psichiatra del ‘900. Con questo non voglio dire che il mondo è dominato da un principio causa/effetto ma che una buona capacità nel riconoscimento e nel contenimento delle emozioni, acquisita nell’infanzia, può aiutare l’adulto ad essere empatico con se stesso e con gli altri.
(I.C.)
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